Adalgisa Cerbella nasce nel primo giorno di primavera di un anno fra le due guerre (scusate, ma l‘età non la posso dire), ultima di quattro figli. Fin da piccola dimostra grandi capacità manuali e pratiche che… stop! Sto facendo una biografia, che va bene per le persone normali, ma per mia nonna non può bastare. A Gubbio tutti una volta o l’altra saranno stati fermati da quella signora che spesso torreggia da una finestra di via Cairoli, la Dalgisa, o Gisa come preferisce essere chiamata. Dalla sua vita in realtà potrebbe venire fuori un vero e proprio romanzo, a cominciare da quando, in una notte di giugno del ’45, ancora adolescente, seppe in anteprima dal comando tedesco, che si era stanziato al secondo piano della sua casa di Madonna del Ponte, che all’indomani alcuni di loro avrebbero composto il plotone d’esecuzione per uccidere 40 innocenti Eugubini. Lei e le sue sorelle trascorsero parte della notte a consolare questi soldati tedeschi che dovevano obbedire ad un ordine del quale avrebbero volentieri fatto a meno. Mi raccontava delle lacrime dei futuri carnefici di una strage mai dimenticata in città, a testimonianza che a volte la storia propone varie sfaccettature a seconda della parte da cui si osservi. Ma a parte questo fatto straziante, raramente gli aneddoti che mi ha raccontato nelle lunghe mattinate della mia gioventù passata fra i vicoli di san Pietro sono tristi: anzi, nonostante la sua vita, come quella della maggior parte delle persone della sua età, non sia stata tutta rose e fiori, ilsuo inguaribile ottimismo tendeva ad edulcorare anche il più cupo ricordo. La Gisa è una che si è sempre data molto da fare, mai restando mani in mano, anche grazie ad una “multifunzionalità” che noi nipoti fortunatamente abbiamo ereditato, adattandola ai tempi moderni. Ho ancora nelle orecchie il suono del campanello, o per i più intimi un semplice richiamo (Dalgisaaaa!) che proveniva dalle scale al quale seguiva il lancio del cestino con corda dalla finestra. La cliente ci metteva dentro un paio di calze che necessitavano di riparazione (allora conveniva aggiustarle piuttosto che ricomprarle nuove…) e dopo qualche minuto il cestino scendeva nuovamente con l’indumento sapientemente riammagliato e tornava su con qualche spicciolo, ma il più delle volte erano un paio d’uova o un cesto d’insalata, di cui l’Adalgisa è grande consumatrice. Oltre alle calze, mia nonna aggiustava di tutto, creava cappelli (con un pizzico di civetteria si definiva modista) e le famose rose di stoffa, che hanno adornato tantissimi vestiti. Ma il vero business (nonna, vuol dire affare e si legge bisness) era la manifattura di bottoni. Fino a qualche anno fa’, i vestiti venivano confezionati dai sarti, cosicché era necessario abbinarci i bottoni con la stessa stoffa. Con un’imprevedibile capacità imprenditoriale, mia nonna aveva fatto arrivare materiale e macchinario da Roma: ecco allora che le scale di casa erano di continuo solcate da persone con pezzetti di stoffa che chiedevano l’opera della Dalgisa. Ancora oggi mi ricordo una commissione per un’azienda di 1000 bottoni, per la quale anche il nonno Ferdinando aveva prestato la sua collaborazione, visto che bisognava consegnare in breve tempo: i due lavorarono tre giorni di fila avvicendandosi perfino in turni di notte. D’inverno la sua casa si riempie di amiche che la vanno a trovare, dando vita a una specie di salotto letterario di metà ottocento, anche perchè la sua stufa, tranne qualche raro giorno afoso estivo, è perennemente accesa come il sacro fuoco di Vesta, in quanto, dice lei, “con i fornelli n’ ce so cucina’!”. La nonna Gisa è indubbiamente una persona benvoluta in città: la porta di casa sua (unica forse a Gubbio ad aprirsi al contrario, ovvero verso la strada) è sempre aperta e la posizione centrale dell’abitazione la rende un punto di riferimento fisso sia per fare due (anche duemila!) chiacchiere sia per alcuni casi di emergenza quali temporali improvvisi o più semplicemente irresistibili bisogni fisiologici… Ne consegue che quando il primo martedì tiepido dell’anno si decide ad andare al mercato, la maggioranza delle volte non riesce nemmeno ad arrivare alle prime bancarelle, dato che la fermano in tantissime persone. Ha un indole del tutto mite: basti pensare che la più grave minaccia che fece a me e mio fratello che da bambini un giorno la facemmo arrabbiare mentre stava lavando i piatti fu: “se ‘n la smettete ve tiro ‘sta spugna!” In effetti sia io che mio fratello Francesco abbiamo trascorso gran parte della nostra giovinezza da lei ed ogni volta ad ora di pranzo era una festa: raramente si mangiava la pasta confezionata, ma cannelloni, ravioli, cappelletti e tagliatelle erano all’ordine del giorno. Incapace di stare senza fare niente, alternava la sua attività delle calze e dei bottoni alla collaborazione con il negozio di fiori del figlio Giuseppe, dove poteva esprimere la sua creatività soprattutto con gli addobbi matrimoniali e gli splendidi bouquet da sposa che erano delle piccole opere d’arte. Ha sempre sofferto la noia, fatto che io ho clamorosamente ereditato. Basti pensare che durante le sue lungodegenze, a causa di un grave incidente patito nell’89 e di un’anca che l’ha rallentata ma non bloccata, si faceva portare nell’ospedale del materiale con il quale confezionava le famose rose di stoffa per il personale medico e paramedico femminile. Diffidente per natura, è capitato più di una volta che rispedisse al mittente i vari incaricati ENEL od ITALGAS che volevano leggere il contatore. Ma il colmo fu quando io, tornato da una lunga vacanza con tanto di barba, abbronzatura, vestiti sgualciti e borsone da viaggio a tracolla, fui fermato a metà scale da un perentorio: “giovanotto, ‘n me serve niente!” Sempre parlando di viaggi, noto è il classico dialogo che precede ogni mia partenza, diventato ormai un rito beneaugurante. Quando la vado a salutare le dico, ad esempio: “Nonna, vo in Brasile” e lei: “Alora, ‘n ce sei per cena!”
Se dovessi riassumere mia nonna in una parola, userei il termine con cui lei stessa spesso si definisce: una donna “esatta”, con l’aggettivo sviscerato dal suo reale significato, ma che riassume un insieme di spirito, praticità, caparbietà, precisione, velocità e forza d’animo. Proprio così, una nonna esatta!