Avrò avuto 10 anni, più o meno. Mi si avvicina una macchina di turisti e mi chiedono: “Ah rigazzi’, ‘ndo se po’ magna’ la torta al testo?” Io chiesi cosa fosse la torta al testo, quando me la descrissero risposi “Ah, volete la crescia? Dovete andare dalla CIA”.

L’auto se ne andò senza chiedere dove fosse tale posto, dubitando forse della mia capacità mentale, dato che li spingevo a mangiare un tipico piatto eugubino presso quella che per loro era la Central Intelligence Agency.

In realtà ogni Eugubino, quando parla della CIA, non si riferisce all’agenzia di spionaggio per l’estero degli Stati Uniti d’America, ma a Cecilia Morotti, per tutti semplicemente la Cia, che se ne andata qualche tempo fa.

Per moltissimi anni titolare del bar ritrovo in cima al monte Ingino, era apprezzata e benvoluta da tutti per la affabilità, la cortesia e l’umanità che le era propria.

Come molti bambini della mia generazione, ho trascorso varie giornate della mia infanzia alla terrazza della CIA: sole e musica anni ’60 e ‘70 dal jukebox. Poi quando entravi eri immerso in quel bar tappezzato di cimeli della Juv

entus, vera passione della Cia. Basti pensare che il cane, ovviamente bianco a chiazze nere, si chiamava Furino. A dire il vero era molto pigro, stava sempre sdraiato e per temperamento era l’antitesi dello storico capitano della Vecchia Signora, per anni motore del centrocampo, cursore infaticabile.

Per me, bambino clamorosamente juventino, quel bar era il paradiso: a differenza di tanti Eugubini che ci andavano per la squisita crescia, e di tanti bambini che frignavano per le macchinine a gettone (dovevi girare in pochi metri quadrati), il gioco della pallina con il volante, o l’elefantino che ti dondolava per 60 secondi (misteriosamente scomparso in una notte e riapparso anni dopo nel dirupo sotto la terrazza durante lavori di bonifica e disboscamento), io ci andavo per i pupazzi bianconeri, per l’inno della Juventus che ogni tanto la Cia faceva partire dal juke box (ancora lo ricordo: Tanti scudetti puntati sul petto / son le vittorie che valgon di più / due son le stelle che brillano in cielo / due son le stelle nel cielo bianconero…), per la foto autografata di Boniek, per le immagini delle formazioni degli anni ’60, quelle con Sivori, Charles e Boniperti.

Era quello il posto dove i caroselli seguenti alle vittorie bianconere terminavano obbligatoriamente: la Cia ci attendeva lassù, stappava qualche bo

ttiglia e si festeggiava tutti insieme.

Ma non ci andavo solo per la Juventus, ci andavo anche per lei, per la Cia, donna dal viso inconfondibile, che sarebbe stata sicuramente scritturata dai fratelli Coen, se i cineasti americani l’avessero conosciuta. Persona fatta di semplicità e rapporti schietti, di bontà e generosità, di passione e di eugubinità.

Il ristorante oggi è cambiato, il mio amico Paolo, che lo gestisce, gli ha dato un tocco diverso ma ha avuto il buon senso di lasciare inalterato il nome, anche perché ormai la Cia ha finito per trasformarsi addirittura in un toponimo del Monte Ingino. Passeranno gli anni, cambieranno i gestori della terrazza su Gubbio ma ancora quel posto si chiamerà la Cia, magari ignorandone il motivo.

Ora più che mai sarà più vicina a S.Ubaldo.

Testo di Simone Zaccagni

Proseguendo con la navigazione del sito, accetti l'utilizzo dei cookie presenti in esso. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a navigare questo sito cliccando su "Accetta" acconsenti al loro utilizzo.

Chiudi