Armando Baldelli in città era universalmente noto come Anghiga ed immediatamente riconoscibile per l’altezza e, purtroppo, per un’infossatura nella guancia sinistra. Questa non era, come molti pensavano, una malformazione congenita, ma gli derivò da un’errata medicazione. Sua sorella maggiore (Armando era il secondo di 5 fratelli) raccontava che, all’età di 5 anni, per curargli un semplice foruncolo infetto sulla guancia, un dottore gli applicò una pomata a base di acido, che praticamente gli corrose la pelle fino a bucargli completamente la parte sinistra del volto. Iniziò così un calvario lungo, un’odissea in vari ospedali, in un’epoca in cui la chirurgia plastica era ancora una scienza da inventare e non un lusso da ricconi annoiati e delusi dal proprio aspetto, come oggi. Alla fine, a Bologna, gli fu ricostruita in qualche modo la parte mancante, prelevando pelle da varie parti del corpo.

Come detto, i postumi del trauma rimasero visibili per tutta la vita, ma Armando, una vera forza della natura, reagì in modo egregio. Un detto eugubino ci ricorda che il Signore distribuisce i panni in base al freddo: ad Armando diede un carattere gioviale, allegro, goliardico che gli permise di accettare serenamente questo suo problema, di cancellare la sofferenza e non solo: mai si è sentito diverso dagli altri, mai ha cercato commiserazione, mai ha sottolineato questa sua anomalia.

Riprova di ciò sono le parole dei nipoti, che vivono ancora con affetto il ricordo di questo grande (in tutti i sensi) zio, al quale erano (e sono) molto affezionati: era il loro punto di riferimento, raccordo della famiglia, un fratello maggiore sempre attento e premuroso.

Molto legato alla madre, che gli è stata sempre accanto, soprattutto nei terribili mesi trascorsi da un ospedale all’altro, aveva una vera e propria venerazione per la moglie Anna. Oltre a ciò, a riprova della vita serena che Armando è riuscito a vivere, ci sono le sue passioni e le soddisfazioni avute in ambito lavorativo. Messo comunale, scrupoloso nel suo lavoro, era fiero quando rappresentava il comune di Gubbio come porta-gonfalone nelle varie manifestazioni ufficiali. Inoltre il prof. Andrea Trenti, all’epoca primario di chirurgia generale dell’ospedale di Gubbio, apprezzandone la professionalità, lo volle come uomo di fiducia e segretario per il suo ambulatorio privato, mansione che ricoprì con il solito zelo. Ma la vera natura allegra e goliardica di Armando e il suo attaccamento alla città, viene prepotentemente fuori quando si parla della passione per le tradizioni eugubine: era un campanaro e un appassionato ceraiolo santubaldaro (la sua statura lo limitò al ruolo di capocinque, ricoperto per anni in uno dei posti in cui tale mansione risulta più importante, cioè le girate).

Era anche storico cantore del “Miserere”, con il gruppo della Madonna, dove la sua sagoma spiccava nitida ogni Venerdì Santo, come nitide erano le note che emetteva durante lo struggente coro.

Non poteva mancare il calcio. Armando era sempre presente in gradinata a seguire le partite del Gubbio, difficile non accorgersi di lui sugli spalti. Ma se proprio non lo si scorgeva, lo si sentiva: più o meno a metà del secondo tempo, risuonava chiaramente, appena qualche giocatore dava segni di stanchezza o di poca concentrazione, il suo inconfondibile: “Mistereeee, cànghielo!”

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